La neurodiversità e il potere delle parole

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Judy Singer

Può una definizione, una parola cambiare la sostanza di ciò che descrive? Certo che no, ma non sempre è così. Se, nell’ambito dello spettro autistico, chiamassi la disabilità con un nome diverso, ad esempio neurodiversità, tutto cambierebbe o resterebbe immutato? Forse no.

La neurodiversità è un diverso punto di vista

Un modo diverso di pensare all’autismo è infatti proprio abbracciare il concetto di neurodiversità, termine coniato nel 1998 dalla sociologa Judy Singer che indica la variabilità cerebrale all’interno della popolazione umana. È un fatto biologico che il cervello umano sia differente in ogni essere rendendo unico ogni individuo.

Se accettiamo questo, accettiamo il concetto stesso di neurodiversità. È per questo che al mondo esistono matematici, musicisti, atleti, introversi, estroversi, persone che amano il rock, il pop o la musica classica.
E come ha detto Judy Singer, “la neurodiversità contribuisce a formare la ricchezza della biodiversità umana”.

Siamo tutti neurodiversi

Poi entra in gioco la statistica che accomuna tutte le persone che hanno caratteristiche statisticamente più frequenti. Che vengono per questo motivo definite tipiche o a sviluppo tipico. Altre persone che divergono dallo sviluppo tipico vengono definite neurodivergenti o neuroatipiche, appunto perché divergono dalla norma.

Ci sono numerose espressioni della neurodivergenza, tra cui l’ADHD (cioè Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder, disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività), la sindrome di Tourette, la dislessia e la discalculia. Il mondo, insomma, non è diviso tra neurotipici e neurodiversi: siamo tutti neurodiversi.

Neurodiversità: né giusto né sbagliato

Neurotipico non è quindi un sinonimo di “giusto”, come neuroatipico non lo è di “sbagliato”. Entrambi sono la semplice manifestazione della biodiversità umana. Come in natura un ambiente con un alto livello di biodiversità è più equilibrato e prospero, così la nostra società può trarre vantaggi dalla presenza di diversi modi di agire.

Le parole contano

Nessuno vuole negare le sfide e le difficoltà che le persone nello spettro autistico e i loro familiari incontrano in una società modellata su bisogni che non gli appartengono. Queste difficoltà e queste sfide sarebbero meno impattanti se fossero messi in atto adattamenti su alcuni versanti. Il linguaggio ad esempio.

Abbandoniamo il linguaggio che definisce queste persone come deficitarie, rotte o sbagliate. È importante, perché le parole contano e aiutano a formare la percezione che abbiamo degli altri e di noi stessi. Cominciamo a non utilizzare più parole come deficit, malattia, affetto da. Le caratteristiche degli autistici vanno considerate come un modo diverso di intendere, immaginare, socializzare, giocare, che va capito e rispettato.

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